[1]M. Paola PAGNINI[2] e Giuseppe TERRANOVA[3]

 

 

   Abstract

La pandemia che ha colpito il mondo ha accelerato la fine del processo di globalizzazione che era già in corso. Dopo l’euforia seguita alla caduta del Muro di Berlino il mondo, secondo gli studiosi, sembrava avviato a una fase di pace, democrazia e prosperità sulla base del modello capitalista occidentale. Nel primo ventennio del Terzo Millennio esplodono fattori concomitanti che si susseguono dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Si apre una stagione di terrorismo e di insicurezza globale che porta verso problemi economici e sociali crescenti. Lo scenario mondiale si frammenta e si complica, soprattutto dopo la pandemia che sancisce l’entrata in un mondo disordinario, cioè fluido, complesso, frammentato e privo di una leadership globale.

 

   Key words: globalization, pandemic, unordinary world.

 

   1. La metafora dello specchio in frantumi.

La metafora dello specchio in frantumi che il geografo francese Camille Vallaux adottò per descrivere la mappa dell’Europa dopo i trattati di pace che conclusero la Prima Guerra Mondiale, può forse oggi essere utilizzata per descrivere il mondo degli anni Venti del Terzo Millennio (Vallaux, 1921). Lo scenario geopolitico odierno e quello di inizio Novecento sono tra di loro profondamente diversi, ma hanno in comune un senso del potere orfano di potenza. Non diversamente per lo scenario successivo al Secondo Conflitto Mondiale che vide un’Europa impotente dopo anni di guerra fratricida che le aveva tolto ogni possibilità di protagonismo.

La metafora dello specchio in frantumi descrive lo sfacelo anche morale seguito alla fine di un’epoca di autoritarismi che lasciarono tracce indelebili nei campi di sterminio nazisti. L’eredità del conflitto rendeva impossibili i rapporti tra i suoi protagonisti. Il sistema economico era stato stravolto e paralizzato con pesanti conseguenze su buona parte della popolazione.

Un primo tragico aspetto del Secondo Dopo Guerra fu la divisione dell’Europa in due grandi blocchi che si confrontarono per mezzo secolo oltre quel confine impermeabile che fu la cortina di ferro. Per assurdo fu la minaccia nucleare a garantire un equilibrio fondato sul terrore di una catastrofe mondiale (Chaliand, Rageau, 1994).

Nel nuovo ordine mondiale di carattere bipolare si confrontavano due visioni del mondo, quella americana e quella sovietica, profondamente differenti dal punto di vista politico, economico e sociale.  In questo contesto l’Europa perse la sua unità e soprattutto la sua centralità geopolitica divisa com’era da un confine invalicabile, fisico oltre che ideologico.

A guidare il fronte occidentale si pose autorevolmente la potenza americana che con il suo intervento armato e, soprattutto, nucleare aveva posto fine al conflitto. Gli USA intervennero a salvataggio dell’Europa Occidentale con i robusti e ben mirati fondi del Piano Marshall assicurando così la loro autorevole posizione di leadership globale (Farish, 2010). L’URSS puntava su un modello statalista per dominare l’Est Europa e per intervenire a favore di singoli Stati anti-americani, posti in posizioni strategiche, come Cuba o alcuni Paesi africani.

La leadership americana garantì non solo rinascita economica, ma anche sicurezza e protezione contro le minacce sovietiche. In quegli anni di stabilità riprende il dialogo tra i Paesi europei che si erano combattuti. Alcune figure politiche carismatiche, come Alcide De Gasperi, Jean Monnet e Konrad Adenauer, diedero l’avvio a un dialogo che sembrava impossibile, soprattutto tra Francia e Germania. La nascita nel 1951 della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) consente di mettere in comune la gestione di queste due materie prime in sei Paesi europei e diventa il punto di partenza di anni di pacificazione e sviluppo che porteranno a quella che è oggi l’Unione Europea (Verluise, 2005). Nel 1957 l’istituzione della Comunità per l’energia atomica (EURATOM) aggiunge sicurezza sul tema molto delicato delle armi nucleari.

In questo scenario non mancheranno, tuttavia, problematiche regionali, come una stagione di terrorismo in Italia e in Francia negli anni Settanta, definiti di Piombo, o Israele per l’irrisolta questione palestinese. A queste problematiche si aggiungono quelle internazionali, come, sempre negli anni Settanta, la grande crisi causata dallo shock petrolifero (Parra, 2009).

 

   2. Verso un mondo globalizzato.

Negli anni Ottanta il mondo occidentale vive una nuova euforia economica rafforzata dalla glasnost del 1986 che svela il disastro del modello sovietico che porterà alla caduta del Muro di Berlino e alla successiva implosione dell’Unione Sovietica.

Negli anni Novanta si passa dal modello di un mondo bipolare a un modello geopolitico unipolare, un’illusione di autorevoli studiosi come Francis Fukuyama che vedevano in quello americano l’unico modello ormai possibile (Fukuyama, 2006). Da questo contesto intellettuale nasce il concetto del mondo globalizzato, basato sul modello americano, che rappresentava un paradigma dei rapporti economici e politici per l’intero globo. Il pivot di questa dottrina era la convinzione che il liberalismo politico e il liberismo economico avrebbero automaticamente assestato gli equilibri mondiali. Questo convincimento era rafforzato dalla potenza innovatrice di nuove tecnologie che sembravano capaci di annullare la distanza. Le intuizioni di John Agnew fanno scoprire un mondo di reti e nuovi collegamenti che alterano il tradizionale concetto spazio-temporale (Agnew, 1994).

Si confrontano due interpretazioni della globalizzazione. Secondo un filone indotto dalle considerazioni di Francis Fukuyama con la caduta del mondo sovietico finiva la Storia. A suo avviso, infatti, il mondo si sarebbe uniformato al vincente modello americano appiattendosi verso una situazione di pace e democrazia. Vicino alle sue posizioni anche Thomas Lauren Friedman che sulla base di un approccio più sociologico che geopolitico spiega nel suo libro “The world is flat” del 2005 cause e conseguenze dell’appiattimento (Friedman, 2005).

Un secondo filone è rappresentato dal pensiero di Samuel Philip Huntington che non condivide l’idea della fine della Storia (Huntington, 2001). Era sua convinzione che il modello americano vinto il confronto con il modello sovietico potesse scontrarsi con nuovi nemici che identificava in civiltà diverse da quella occidentale. In queste differenti modalità di interpretare la globalizzazione si inserisce Richard Florida che inserisce il concetto di “mondo a picchi” per sostenere che per quanto la globalizzazione avesse avviato un qualche livellamento negli stili di vita e di produzione a livello planetario nella realtà emergevano alcuni territori di eccellenza, da lui chiamati picchi, che per un complesso di fattori tecnologici erano capaci di attirare talenti e di fungere da moltiplicatori del Pil. A difesa della sua teoria Florida portava l’esempio delle grandi metropoli e delle concentrazioni di attività qualificate come la Silicon Valley (Florida, 2005).

La grande illusione della globalizzazione, quella di mancanza di nemici, si infrange in una catena di eventi imprevedibili che caratterizzano il primo ventennio del Terzo Millennio.  Il giorno 11 settembre 2001 con una azione coordinata e spettacolare ripresa dalle televisioni di tutto il mondo un commando terrorista distruggeva con precisione chirurgica le Torri Gemelle simbolo della potente finanza americana provocando circa 3000 vittime. Per la prima volta dopo Pearl Harbour l’America veniva colpita nel cuore del suo territorio. L’America scopre di avere un nuovo sconosciuto nemico, Al Qaida rappresentato dal suo iconico leader Bin Laden. Uno sconosciuto senso di insicurezza pervade il Paese che non si confronta più con altri Stati ma con un movimento fluido ed imprevedibile di carattere transnazionale.

A complicare il quadro imprevisto e drammatico è la scoperta da parte degli investigatori che parte del commando era costituita da cittadini americani o da cittadini sauditi, originari quindi di un Paese storicamente alleato dell’America.

La nuova guerra è asimmetrica, per usare il termine introdotto da due colonnelli cinesi: non più costose armi convenzionali (Barnett, 2003), dai fucili alla bomba atomica, ma strumenti improvvisati e fai da te come coltellini di plastica o esplosivi fabbricati secondo indicazioni rintracciate nel deep web.

A questa sfida inedita e non convenzionale l’America del Presidente George W. Bush risponde con una rappresaglia convenzionale che lo porta ad attaccare Stati come l’Iraq e l’Afghanistan riuscendo a destabilizzare equilibri regionali assai delicati senza riuscire a centrare il vero bersaglio.

Quello che inizialmente sembrava un attacco mirato all’America si estese presto con varie modalità anche all’Europa e più in generale all’Occidente. Sembrava così avverarsi lo scontro di civiltà disegnato da Huntington (Huntington, 2005). In questo contesto si verificano in Europa attentati di matrice islamista che hanno come protagonisti non commando ben organizzati ma singoli individui. Sono persone emarginate, figli di seconde o terze generazioni di immigrati provenienti da periferie urbane e non integrati nei Paesi di accoglienza di cui spesso hanno la cittadinanza. A questi si aggiungeranno i foreign fighters, cittadini dei Paesi occidentali, che vengono irretiti dalla propaganda islamista della rete fino al punto da raggiungere lontani teatri di guerra dove addestrarsi alla lotta armata. Spesso il luogo di radicalizzazione è il carcere. Ne deriva un quadro complesso e sfrangiato che rende difficile la stessa definizione di terrorismo (Roy, 2011; Kepel, 2018; Ramonet 2016). Tanto per citare i più eclatanti ricordiamo gli attentati di Parigi del 2015, di Bruxelles, Nizza e Berlino del 2016,  Stoccolma, Barcellona e Londra del 2017.

 

   3. Il crollo del mito della globalizzazione.

A questi problemi culturali e di scontro tra civiltà si unisce la grave crisi economica del 2008 causata dal crollo dei mutui sub prime con conseguente crisi di liquidità iniziata negli Stati Uniti ma successivamente esplosa a livello mondiale (Goldin, Kutarna, 2016).

Questa destabilizzazione prima politica e poi economica fa emergere il limite della globalizzazione che non era stato colto neanche dalle forze progressiste. Un notevole aumento di movimenti migratori fa riemergere l’idea di confine che la globalizzazione sembrava aver cancellato. La sociologa Saskia Sassen fotografa una situazione imprevedibile che è la fine della globalizzazione e delle sue certezze (Sassen, 2008). Globalisti e isolazionisti si contrappongono con due diverse visioni della realtà. Ma il concetto di territorio, tanto caro ai geografi, viene velocemente affiancato e poi sostituito da un processo di deterritorializzazione che porta al concetto di spazio virtuale (Ó Tuathail, 1998; Khanna, 2016).

I tradizionali centri decisionali e di potere cedono il passo all’agorà digitale che non solo non ha luogo ma non sembra avere una governance (Bassetti, 2020). L’innovazione tecnologica e i nuovi strumenti di comunicazione semplificano i linguaggi e rendono i tradizionali strumenti della burocrazia e della democrazia, obsoleti e lenti di fronte a un mondo che corre con altre velocità.

Anche una parte della popolazione, gli analfabeti digitali e anche una parte dei left behind, cioè di coloro che erano stati emarginati dai processi di globalizzazione, viene messa ulteriormente ai margini e troverà rifugio in movimenti politici che faranno della loro debolezza una bandiera (Alden, 2017; Goodhart, 2017) .

In questo contesto negli anni 2016-17 vanno ricordati alcuni casi imprevedibili. Nel giugno 2016 si avvia il processo di uscita del Regno Unito dall’UE, la Brexit; nel novembre 2016 Donald Trump, un outsider della politica americana, viene eletto Presidente degli Stati Uniti; nel marzo 2017 va al governo per la prima volta in Europa un Movimento del tutto estraneo ai tradizionali partiti europei: il Movimento Cinque Stelle. Gianroberto Casaleggio il guru del M5S aveva avuto una visione anticipatoria di un mondo che non poteva più basarsi sui classici modi della politica. Con il motto uno vale uno salgono al potere e occupano ruoli apicali persone comuni selezionate attraverso un portale, la piattaforma Rousseau. Si voleva richiamare la democrazia diretta che non necessitava più di intermediari quali partiti e attivisti politici ma si basava sulla volontà del popolo filtrata da strumenti digitali (Krastev, 2019).

 

   4. Dopo la globalizzazione, fondali della grande crisi.

Allo scontro tra civiltà previsto da Huntington si aggiungono impensabili scontri all’interno di una stessa civiltà. Inquietanti fondali internazionali caratterizzano il periodo 2016-2020. La Cina conosce un periodo di incredibile crescita economica che prosegue fino ad oggi e aumenta la sua aggressività geopolitica e geoeconomica non solo nei confronti dei più poveri Paesi africani ma anche dell’Europa e della stessa Italia (Bell, 2019). Mai come oggi il Mediterraneo allargato cantato da Braudel vede interferenze russe ed egiziane, turche e francesi, tutti spinti dal vuoto creato dalla potenza americana, l’America First di Trump. L’instabilità dovuta all’ISIS di una vasta area comprendente Siria e Libano, Israele e Palestina, ma anche Iran, Iraq, Afghanistan e Pakistan, si innesta su fattori di scontro che originano in storie precedenti, diventando conflitti perpetui. Non va meglio in Africa con il Nord destabilizzato dalla morte di Gheddafi e dalla “Primavera Araba”, con l’Africa subsahariana, un crogiuolo di vecchi e nuovi conflitti, che si mescolano alle bande criminali che taglieggiano i migranti nella zona del Sahel (Pagnini, Terranova, 2018). A questo si aggiungono conflitti mai chiusi come quello Etiopia-Eritrea, Somalia, Congo, Nigeria, il Sud Africa orfano di Mandela, Kenya, solo per delinearne alcuni.

Non diverso lo scenario dell’America Latina: l’America Centrale nelle mani della criminalità organizzata, l’Argentina sempre sull’orlo della crisi finanziaria, il Venezuela in una profonda crisi umanitaria.

Non sta meglio l’Australia esposta all’aggressività cinese e agli interessi geopolitici dello scacchiere dell’Indo Pacifico o il Mare Cinese Meridionale parzialmente e militarmente occupato da Cina, Vietnam, Malesia, Filippine, Taiwan.  In quest’area inquieta la progressiva mano cinese sull’ex colonia britannica di Hong Kong sta spazzando via ogni residua libertà, la stessa minaccia che sta subendo Taiwan.

La Russia di Putin non può permettersi di rinunciare alle vecchie egemonie sulle ex Repubbliche sovietiche con vari focolai di crisi e alterni tentativi di dialogo con Paesi europei come la Germania con la quale intrattiene importanti relazioni commerciali.

Anche la geografia fisica contribuisce ad aumentare i problemi geopolitici. Un avanzamento del riscaldamento globale potrebbe trasformare l’Artico in un nuovo teatro di conflitti sia per le nuove rotte commerciali che per le presunte risorse minerarie. L’innalzamento del livello del mare, la frequenza di tsunami e terremoti rendono il nostro pianeta un luogo inquieto.

Una manifestazione di potenza è la conquista dello spazio con le ambizioni delle potenze emergenti come Cina o India (Terranova, 2021) .

 

   5. Un mondo disordinario.

Le aeree di povertà e di insicurezza dovuta ad instabilità o guerre sono fonte di consistenti flussi migratori che si dirigono verso Paesi considerati stabili e ricchi (Castles, De Hass, Miller, 2013). Le mete preferite sono la Mitteleuropa e i Paesi del Nord Europa oltre agli Stati Uniti e ai Paesi del Golfo che forniscono aiuti o prospettive di lavoro. Sono flussi che creano una sensazione di insicurezza tra le fasce autoctone che sono già indebolite economicamente dalla globalizzazione.  L’insicurezza diventa un’arma di propaganda politica e di contrapposizione tra attitudini umanitarie e securitarie. I migranti seguono rotte e percorsi accuratamente controllati dalla criminalità organizzata pronta a taglieggiarli durante il viaggio e a utilizzarli come docile e poco retribuita mano d’opera nei Paesi d’arrivo (Pagnini, Terranova, 2018).

In una data incerta di fine 2019 e inizio 2020 appare in Cina, in particolare nella citta di Wuhan nella regione del Hubei,  un virus sconosciuto. E’ un nuovo ceppo di coronavirus che è stato denominato inizialmente 2019-ncov e successivamente SARS-COV-2. Oggi è comunemente noto come Covid 19.  Il virus si diffonde rapidamente dalla Cina al resto del mondo grazie a quello che è rimasto della globalizzazione, cioè la circolazione internazionale di merci e persone. Si apre un dibattito scientifico che vede l’origine del virus nel wet market della città di Wuhan dove si vendono animali selvatici a fini alimentari. Tra questi è stata individuata una zoonosi che tra pipistrelli e pangolini ha portato, per un salto di specie, il virus all’uomo. Una spiegazione confutata da chi ritiene trattarsi di un virus derivato da un incidente del laboratorio di bio-sicurezza di livello P4, per lo studio di virus altamente patogeni costruito dai francesi nell’ambito di un progetto del 2004 di cooperazione internazionale. Dopo che il laboratorio è entrato in funzione, i francesi hanno osservato che i cinesi lo usavano in modo disinvolto e pericoloso fino al punto da far accedere inesperti studenti specializzandi. Il laboratorio è stato quindi abbandonato in mani cinesi (Pagnini, Terranova, 2020).

In un breve lasso di tempo il virus si è propagato nel resto del mondo. Gli Stati hanno reagito con soluzioni nazionali e, contravvenendo alle indicazioni dell’OMS, hanno chiuso le frontiere e imposto severi controlli ai cittadini provenienti dalle aree focolaio del contagio. Sono stati imposti severi lockdown che hanno privato i cittadini della libertà di movimento come non accadeva dai tempi degli autoritarismi novecenteschi (Zizek, 2020). Il virus ha sconvolto la quotidianità dei singoli, i rapporti famigliari, sociali e di lavoro. Lo smart working ha reso inutili i grandi grattacieli degli uffici delle grandi città internazionali, le scuole chiuse hanno causato la rinuncia al lavoro delle madri e ferito la psiche dei bambini e dei giovani privati del loro naturale contesto sociale.  Sono aumentati i suicidi e i disturbi da stress. Gli ospedali si sono riempiti di pazienti, la medicina di base e quella ospedaliera si sono rivelate del tutto inadeguate ad affrontare i crescenti numeri del contagio. Luoghi fino allora sicuri come le case di riposo si sono rivelate una delle principali aree di contagio.

Tutto questo ha avuto un enorme riflesso anche nella geopolitica internazionale (Fukuyama, 2020).

Questi contorni incerti ci portano a definire il mondo contemporaneo come un mondo disordinario (Pagnini, Terranova, 2020). La parola ha origini nel 1342 per spiegare un fenomeno contrario all’ordine naturale, quindi irregolare e straordinario. Una definizione che trova un perfetto riscontro.

Il virus ha stravolto la sicurezza dell’uomo moderno nello strapotere che riteneva di avere grazie alla tecnologia. L’idea di un ordine naturale che non si piegasse alla crescente tecnologia non rientrava nel pensiero comune. Sembrava che l’uomo fosse protetto dalla morte e fosse ormai prossimo un allungamento della vita. La morte non era più vissuta come un logico corollario della vita ma come un impensabile evento di carattere straordinario.  L’evento era straordinario perché per la prima volta dopo l’influenza spagnola il mondo intero era chiamato a fronteggiare un nemico invisibile (Patrick, 2020; Regus, Reali, 2020). La risposta alla pandemia ha dato forza ad un apparato statale che era stato messo in secondo piano dalle nuove tecnologie (Khanna, 2016) e dal settore privato, almeno così nel mondo occidentale (Fukuyama, 2020).

A complicare la situazione sono intervenuti i media, per la prima volta una pandemia è stata raccontata, commentata, aumentata e diffusa sui canali dell’informazione (Vento, Zasio, 2020). La diversificazioni dei canali comunicativi ha evidenziato pareri discordanti in relazione alle cause, conseguenze e modalità di contrasto della pandemia. Si sono evidenziate varie faglie: una tra competenti e incompetenti che vengono a trovarsi sullo stesso piano senza che il pubblico abbia gli strumenti di valutazione. I competenti hanno mostrato il ventaglio delle possibili specializzazioni utili parlando del virus: virologi, epidemiologi, microbiologi, biologi, medici anestesisti, pneumologi, solo per citare alcuni, hanno animato il dibattito generando un messaggio a tratti confuso e contradditorio (Mazzei, 2020).

Ma anche gli incompetenti hanno trovato pari spazio nel circolo mediatico contribuendo a diffondere messaggi distorti e fake news e alimentando una vasta gamma di teorie negazioniste che, per le loro capacità spesso istrioniche, hanno fatto presa su cittadini che non sapevano a chi affidarsi dopo lunghi mesi di confinamenti e privazioni che non sembravano aver apportato alcun beneficio.

Lo scontro più eclatante è stato quello tra scienziati e politici: i primi hanno bisogno dei tempi lunghi delle sperimentazioni tipiche della scienza; i secondi devono dare conto del loro operato ad elettori e sono condizionati da voti di fiducia e tempi elettorali (Ortega, Orsini, 2020).

   

   6. Politica e geopolitica del mondo disordinario.

Questo scontro tra scienziati e politici ha assunto sfumature variegate nei vari Paesi. In Italia, ad esempio, la politica è stata condizionata dai Comitati tecnico-scientifici, un comodo modo di delegare le responsabilità a esperti dotati tuttavia di codici e linguaggi comunicativi molto diversi. Il quadro già frammentato ha visto un’ulteriore divisione tra comitati nazionali e regionali che rispecchia sia le posizioni politiche sia lo scontro tra centro e periferia favorito dalla riforma costituzionale del Titolo V che assegna ampi poteri in materia di sanità alle Regioni nell’ambito di un sistema sanitario definito tuttavia nazionale (Amodio, Boucobza, 2020; Pagnini, Terranova, 2020).

Negli Stati Uniti è stata la politica a prevalere sulla scienza. E’ un caso che va analizzato tenendo conto della istrionica e impressiva personalità del Presidente Trump che metteva l’interesse dell’economia prima delle problematiche sanitarie. Il dott. Antony Fauci virologo e massimo esperto di fama internazionale, già leader nella lotta all’AIDS e Direttore del Nation Institute of Allergy ad Infectuous Desease, era stato equiparato da Trump a “una puzzola al pic nic”, intendendo qualcuno che dava fastidio e comunicava quel pessimismo che Trump temeva potesse nuocere alla sua rielezione. Più prudente l’approccio Joe Biden che pur tenendo conto delle necessità del sistema, sembra volersi avvalere in modo più responsabile delle competenze del dott. Fauci riconfermato nei suoi ruoli.

Anche in Brasile la politica schiacciava la scienza, non in nome dell’economia ma di interessi religiosi. Bolsonaro per venire incontro alle richieste della comunità evangelica che lo aveva sostenuto alle elezioni al grido “Il Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutto” si era fatto portavoce di un negazionismo che si rifiutava di chiudere le chiese e di approvare misure di limitazione delle liberta e dei movimenti delle persone (Rossi, 2020; Conde, 2020; Fiori, 2020).

In Svezia prevaleva la teoria di Anders Tegnell che puntava all’immunità di gregge negando l’utilità di isolamento, mascherine o comunque dispositivi di protezione personale. Il Paese pagò le conseguenze di questo atteggiamento con il tasso di mortalità più alto dell’ultimo secolo e anche più alto rispetto a Paesi vicini paragonabili per dimensione geografica e popolazione come Danimarca e Norvegia (Paterlini, 2020; Cundrò, 2020).

In Cina i medici sono stati subissati da un concetto di politica forte e autoritaria che puntava sui mai dimenticati princìpi confuciani. Tenendo sempre conto di un interesse collettivo la popolazione ha sopportato lunghi e severi periodi di lockdown con misure restrittive rigidissime di confinamento e di possibilità di entrata e uscita dal Paese (Mazzei, 2020).

L’equilibrio tra gli interessi e i tempi della scienza e quelli della politica ha trovato un bilanciamento nella figura di Angela Merkel, uno dei pochi politici a veder salire il gradimento in modo esponenziale durante. La Cancelliera ha avuto la capacità di trovare punti di equilibrio tra scienza e politica, economia e salute, centro e periferia mandando messaggi certi e sicuri che spiegano le ragioni del suo ritrovato consenso popolare.

Come si vede da questi pochi esempi la risposta degli Stati è stata disomogenea, confusa e lenta. Ma anche organismi sovranazionali a iniziare dall’OMS si sono dimostrati impreparati di fronte a un virus che era prevedibile. Hanno dato agli Stati linee guida contradditorie e più in generale non sono stati capaci di svolgere quel ruolo di coordinamento degli Stati Membri come, ad esempio, nella gestione delle campagne di vaccinazione. Va detto che all’interno dell’OMS si è consumato un conflitto geopolitico tra Cina e Stati Uniti. Trump ha accusato il Segretario Generale Tedros Adhanom Gebre Yesus di voler coprire le responsabilità cinesi nella pandemia, gli stessi cinesi ai quali il Segretario doveva la sua nomina.

Questo quadro disordinario preesisteva alla pandemia che è stata un acceleratore della crisi. Già nel periodo pre-Covid erano state avvertite le prime avvisaglie del mondo disordinario che avevano contribuito all’emergere di movimenti sovranisti e populisti in particolare in Europa segnando i limiti di quel sistema di welfare che era stato a lungo l’orgoglio delle democrazie post belliche europee.  Quel sistema era nato in una società omogenea e statica delimitata territorialmente dai suoi confini che si è trovata a confrontarsi con nuove velocità e con processi di apertura se non annullamento dei confini, con una crescente deterritorializzazione oltre a flussi migratori di una portata senza precedenti. Sebbene la pandemia con le conseguenti chiusure dei confini poteva sembrare il contesto ideale per la rinascita dei nazionalismi e quindi terreno ideale per i suddetti sovranismi e populismi, nella realtà il virus si è dimostrato un loro nemico. Mentre, ad esempio, il successo del vaccino ha dimostrato la necessità di collaborazione tra Stati e ha svelato la fragilità di quelle teorie negazioniste sostenute proprio da Stati sovranisti e populisti (Bolaffi, Terranova, 2014).

Impegnati nell’improbabile conteggio di morti, di contagi e di terapie intensive abbiamo trascurato le conseguenze strutturali nel medio e lungo termine sul contesto economico e sociale a livello sia locale che mondiale. Se il vaccino sembrerebbe indicare una via d’uscita dal contagio e dalla pandemia c’è la sensazione che non abbiamo ancora la consapevolezza del mondo disordinario che ci troveremo ad affrontare (Allen, 2020; Bassetti, 2020).

Stiamo vivendo un’epoca digitale che come ogni forma di modernizzazione causa un aumento di emarginazioni e diseguaglianze sia economiche che sociali. Prendendo ad esempio le scuole in Italia la didattica a distanza dovuta all’emergenza sanitaria ha accentuato il divario tra bambini attrezzati culturalmente e materialmente all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali e bambini esclusi, soprattutto bambini che vivono in aree rurali o nelle periferie metropolitane. La conseguenza è stata un preoccupante tasso di abbandono scolastico che non si era più visto dal dopoguerra. A ciò va aggiunto il problema psicologico dell’isolamento che non ha più consentito una normale interazione giovanile causando problematiche nuove in merito alla socializzazione giovanile.

Ai problemi dei giovani si affiancano i gravi disagi delle fasce più anziane della popolazione, un problema molto sentito in Italia ma anche in quei Paesi come ad esempio il Giappone con un’elevata percentuale di anziani sulla sua popolazione. Tra il problema della solitudine degli anziani rimasti nelle loro case e l’elevata mortalità degli anziani nelle case di riposo e anche negli ospedali un’intera generazione di anziani è stata cancellata. Si trattava di quegli anziani che sono stati testimoni della seconda guerra mondiale e attori della ricostruzione post bellica, i pilastri di un welfare famigliare che ha consentito a molti figli e nipoti disoccupati di condurre una vita tranquilla.

Il divario già presente nella società occidentale tra uomini e donne si è approfondito nel mondo disordinario. Molte donne hanno abbandonato il lavoro non sapendo come diversamente accudire figli piccoli durante la chiusura di asili e scuole; i periodi di lockdown hanno ostacolato la loro consueta attività di cura e assistenza a parenti anziani. Il tasso dei femminicidi è pericolosamente aumentato per la complessa convivenza in spazi ristretti con partner violenti o predisposti ad esserlo. Tuttavia le donne rappresentano nei Paesi OCSE il 70% della forza lavoro sanitaria, sono quindi in prima linea e a maggiore rischio di contagio.

Nel mondo disordinario si assiste ad un complesso eterogeneo numero di attività che falliscono e chiudono. Molte di queste sono destinatarie di ristori assolutamente insufficienti, ma anche interventi governativi di ristoro più consistenti non sarebbero in grado di arginare il fenomeno. Ci si trova di fronte ad una distruzione creativa che non consente a chi perde il lavoro di riciclarsi o comunque di utilizzare le proprie competenze per trovare un’altra occupazione (Goodhart, 2017). Saranno questi i nuovi poveri. Al contempo l’aumento di tecnologia creerà nuove opportunità di lavoro che tuttavia potranno essere colte solo da chi avrà il privilegio di accedere a percorsi di istruzione e formazione specializzati: il luogo e la famiglia d’origine diventeranno sempre più decisivi.

Il concetto di rapporto di lavoro e di luogo di lavoro potrebbe essere completamente rivoluzionato. I sindacati che affondano le loro radici nel rapporto di lavoro industriale e nella rivoluzione fordista perderanno di significato: l’occupazione sarà fluida e altamente diversificata. Questo avrà un grande impatto sulla struttura urbana rendendo inutili i grandi spazi a uffici nel cuore delle metropoli con riverberi sulla mobilità e sulle fruizioni dei servizi. Lo stile di vita e i rapporti sociali cambieranno profondamente anche come conseguenza della crescente domanda di un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente.

Siamo di fronte a nuove sfide che non trovano al momento alcun segno di riconoscimento negli apparati dei partiti e della politica. Le strutture fondanti delle democrazie liberali sembrano in discussione con attacchi sia dal basso, attraverso i social, che dall’alto attraverso l’implacabile geopolitica dei rapporti internazionali. L’assedio a Capitol Hill, il Parlamento americano, da parte di una folla eterogenea e inferocita sembra essere l’anticipazione della rabbia popolare contro classi politiche dirigenti atterrite e impaurite dalle sfide mai vissute prima che non sanno come affrontare. Il teatrino della politica italiana, una crisi di governo in piena pandemia e in piena recessione economica, dava una misura di disordine e di instabilità all’interno dello scacchiere occidentale. Sono molte le aspettative, non solo italiane, per il cambiamento di linea politica interna e internazionale che si immagina possa essere assicurata dal nuovo governo guidato dal Professor Mario Draghi.

L’Unione Europea sta per affrontare l’inevitabile momento di uscita dalla scena politica della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che per un ventennio è stata punto di riferimento della politica europea. Con la Brexit, il ritiro della Merkel, la Francia con un governo debole e un tessuto sociale indebolito dai conflitti centro-periferia e dal Covid, con l’Est Europa sempre più attratto da derive autoritarie, il baricentro della geopolitica europea potrebbe spostarsi verso un Sud assolutamente impreparato a rispondere alle sfide internazionali del Mediterraneo allargato (Braudel, 2017; Matvejevic, 2010).

Gli incerti equilibri tra Stati Uniti, Russia e Cina disegnano sulla carta del mondo scenari e dinamiche fluide e spesso contradditorie che sembrano avere come luogo ideale di conflitto l’Europa. Ci si può chiedere se il mondo disordinario assomiglia di più a un nuovo Medioevo e se è precursore di un nuovo Rinascimento. Una risposta parziale si potrà avere una volta usciti dalla pandemia, ma al momento non ci sono ipotesi certe sui tempi e neanche sui modi. Le campagne di vaccinazione avviate in tutto il mondo sono appena agli inizi tra problematiche logistiche e di produzione dei vaccini, nel contempo nuovi ceppi regionali di virus stanno complicando gli sforzi della comunità scientifica internazionale. Anche se venisse risolta la questione sanitaria, i Paesi dovranno affrontare problematiche psicologiche-esistenziali, sociali, economiche, politiche, geopolitiche dai contorni incerti e pericolosi. Un mondo disordinario che rifletterà le sue inquietudini sui suoi abitanti e sul suo devastato ambiente.

 

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[1] Anche se l’articolo è frutto di una reflessione condivisa degli autori, sono attribuiti alla Prof.ssa Maria Paola Pagnini i paragrafi 1, 2, 3. Sono attribuiti al Prof. Giuseppe Terranova i paragrafi 4, 5 e 6.

[2] Docente di Geopolitica e Geoeconomia nel dottorato di ricerca in Geopolitica e Geoeconomia dell’Università telematica Niccolò Cusano di Roma. È direttore scientifico della collana “Studi e Ricerche” di Edicusano.

[3] Docente universitario di Geografia politica ed economica. Caporedattore di Overlandgeo e Neverlandgeo.